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Una chiacchierata fra amici: Kensuke Koike

Uno sguardo sul mondo di Kensuke Koike: dal Giappone all'Italia, attraverso suggestioni, percorsi, sogni e passioni, dietro le quinte del flusso costante di creazioni di un'artista davvero unico nel suo genere.

by Giacomo Donati

1.
Quali sono le tappe fondamentali del tuo percorso artistico?

Ho sempre voluto fare l’artista, sin da piccolo. Alle superiori ho trascorso un anno all’estero, a Venezia, così, finito il liceo ho deciso di tornare in Italia per proseguire i miei studi. All’inizio volevo fare il pittore, poi, una volta arrivato nuovamente a Venezia per fare l’Accademia di Belle Arti, la mancanza di spazio a disposizione nella stanza che occupavo mi ha posto di fronte al problema di dove avrei potuto dipingere e conservare le tele. Io avrei anche sacrificato lo spazio per le mie opere, ma sarebbe stato difficile convincere il mio coinquilino a sopportare ogni giorno l’odore di acrilico, perciò un giorno ho preso una telecamera e ho preso a realizzare lavori di videoarte. Da lì, passo passo, si può dire che mi sono adeguato alle circostanze, fino ad arrivare a quello che faccio ora, seguendo il principio per cui preferisco lavorare sulle idee, anziché sulle tecniche, nel senso che nel momento in cui si ha un’idea chiara di dove si vuole arrivare, non sono i materiali la cosa più importante. Ora lavoro con le immagini, ma non è detto che in futuro non mi rivolga ad altri materiali.

2.
Quali sono o sono stati i tuoi punti di riferimento?

Quando ero in Giappone, andavo spesso per musei e teatri insieme a mia madre, che mi portava un po’ ovunque, nutrendo la mia curiosità. Ero molto affascinato non soltanto dalle opere di architetti e artisti, ma soprattutto dal processo che li portava a concretizzare i loro sogni, perciò passavo molto tempo a vedere bozzetti, schizzi, prototipi, tutto ciò che stava dietro l’opera finale. Delle tante, ricordo in particolare una grande mostra al Prefectural Museum of Art di Aichi sul genio fuori dagli schemi di Richard Buckminster Fuller, le sue creazioni originali e il concetto di creare a partire da un modulo che viene poi riprodotto su varie scale. Questa e tante altre mostre hanno nutrito il mio immaginario.

3.
Dove stai andando?

È difficile a dirsi, sarei curioso di saperlo anch’io. Necessariamente oltre, per non rischiare un ristagno, ma quale che sia la direzione sarà senz’altro un impulso molto personale a dettarla, perché devo essere prima di tutto io ad appassionarmi, per poter poi trasmettere questa passione nelle opere che ne deriveranno.

4.
Qual è il tuo luogo del cuore in Giappone?

Ovunque si mangi bene! E ovunque si possa osservare quell’attimo di bellezza che racchiude la fioritura dei ciliegi, un fenomeno che soltanto in Giappone mi pare trovi la sua sintesi perfetta. Se proprio devo individuare un luogo, direi il Santuario di Ise, dove andavo con tutta la famiglia, anche per assaporare i dolci di fagioli rossi.

5.
Quanto conta la musica nel tuo lavoro? Cosa stai ascoltando in questo periodo?

Ho un ascolto distratto della musica e ascolto un po’ di tutto, ma quando lavoro ho bisogno di assoluto silenzio, per pensare ma anche per sentire ad esempio il rumore dei tagli che faccio sulla carta.

6.
Un sogno nel cassetto.

Un robot che tramandi ed esegua la mia conoscenza accumulata.

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