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Okinoshima, l'inaccessibile isola kami

Una delle più pure espressioni della sacralità della natura, dove il Giappone si conserva nella sua essenza fuori dal tempo.

by Nanban

Avvolta dalle onde del mare di Genkai giace uno dei luoghi più inaccessibili del Giappone: un'isola sacra, un'isola che è una divinità in sé, un kami dunque, un'isola solitaria, l'isola di Okinoshima.

Sul suo suolo alberga il santuario di Okitsu-miya, uno dei tre santuari shintoisti di Munakata, che vanno sotto il nome collettivo di Munakata Taisha (宗像大社).

Nel suo complesso, il santuario Munakata Taisha è composto da tre santuari, dedicati alle tre dee Munakata: Hetsu-miya, Nakatsu-miya e Okitsu-miya, il primo dei quali si trova sulla terraferma, nel Kyushu, il secondo sull'isola di Oshima, mentre il terzo, forse il più importante e carico di storia, si trova proprio a Okinoshima, distante circa 60 chilometri dalla costa, sulla rotta verso la Corea.

È un santuario unico, un luogo in cui, stando alle parole dell'artista contemporaneo Hiroshi Sugimoto, "ciò che appartiene a prima della Storia si è come congelato, esiste e si preserva in uno stato di isolamento".

Benchè siano pochissimi coloro che vi abbiano messo piede, è talmente popolare da essere sopranominato lo "Shōsō-in del mare", riferendosi al celebre tempio di Nara. Il Mare di Genkai, da cui emerge l'isola di Okinoshima, era un punto chiave per i trasporti tra il Giappone e la penisola coreana, e si ritiene quindi che l'enorme numero di reperti, oltre centomila, rinvenuti sull'isola siano stati portati sull'isola come offerte agli dei nella speranza di un commercio sicuro.

Dal mare, l'isola ha tutta l'aria di essere abbandonata, ma man mano che ci sia avvicina al piccolo approdo segnato da un austero portale, il cosiddetto tori, emergono tracce di una frequentazione umana. Ogni mattina, infatti, un sacerdote shintoista del Munakata Taisha offre preghiere nel santuario principale di Okitsu-miya, il cui edificio si trova stretto fra diverse rocce gigantesche, che creano l'illusione che l'architettura sia come emanazione della natura sacra che la circonda.

L'approdo - @Yuji Ono/Casa Brutus


Fino al 2017, anno in cui la piccola isola dalla circonferenza di circa 4 km è stata designata Patrimonio dell'Umanità, e per svariati decenni precedenti, pur attraverso un elaborato processo di selezione era consentito l'accesso a un piccolo gruppo di duecento uomini solamente un giorno l'anno, per celebrare la vittoria nella battaglia di Tsushima del 1905, combattuta nello stretto di Corea.

@Yuji Ono/Casa Brutus


Da allora l'inaccessibilità dell'isola si è fatta ancor più rigida e un solo prete è ammesso sull'isola e gli viene dato il cambio ogni dieci giorni, così da non interrompere mai i riti essenziali.
Ma non solo. Okinoshima è uno degli ultimi luoghi in Giappone dove vige il Nyonin kinsei, vale a dire il divieto secolare per cui non è consentito alle donne di sbarcare, poiché la tradizione shintoista esige da parte di coloro che accedono al tempio - o in questo caso si potrebbe dire alla divinità stessa, essendo l'isola un kami - un rigido processo di purificazione, che le perdite mensili della donna renderebbero impraticabile. Una regola che colloca l'isola ancora più fuori dal tempo.


Okinoshima è dunque un'isola misteriosa, forse la più segregata dell'arcipelago, da osservare da lontano, da uno degli altri santuari Munakata Taisha e che, come un fossile, conserva le ultime tracce di un Giappone antichissimo, sempre più introvabile.

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