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Una chiacchierata fra amici: Philip Giordano

Domande e risposte per entrare nel mondo di Philip Giordano con le sue creature colorate e sorprendenti, felicemente approdate anche sui lidi di Nanban.

1. 
Da dove viene la tua passione per il disegno?

Credo sia strettamente legata ad un altra mia passione, quella per la natura, gli animali e le piante.
Da bambino guardavo documentari naturalistici e sognavo di viaggiare e classificare  animali e piante come un esploratore dell' Ottocento. Così li disegnavo dentro intricate foreste, inserite  in  chilometriche  sequenze di  fogli uniti tra loro. È buffo ricordarlo ora: mi fanno pensare ai rotoli giapponesi emakimono; quelli che si dispiegano in orizzontale.

Il mio rapporto con il disegno è strano.
Sono grato di possedere questa abilità, perché il  disegno mi ha tenuto a galla nei momenti difficili.
Questo rapporto privilegiato fra me e il disegno forse è anche dovuto al fatto che sono dislessico e per molto anni ho avuto difficoltà ad esprimermi con le parole.

2.
Quali sono o sono stati i tuoi punti di riferimento?

A 5 anni ho visto il lungometraggio “Nausicaä della valle del vento” di Hayao Miyazaki.
Tra i protagonisti c'erano degli insetti, dei bruchi, ma dei bruchi mutanti, giganteschi.
Tutto era nuovo e diverso in questo cartone.
L’immaginario grafico e visivo, le musiche, la poetica ecologista antimilitarista, lo scenario post-apocalittico.
Fu come un’esplosione nella mia testa.
Era lo stesso mondo invisibile che osservavo io tra le foglie del giardino di casa, ma a misura umana.
Il protagonista poi non era un uomo ma una giovane ragazza, un’eroina femminile! (ai tempi abbastanza insolito in tv) che si era presa a cuore la sorte dei bruchi mutanti.
Volevo essere come Nausicaä: un paladino dei brutti, dei derelitti, di chi è diverso dagli altri e viene emarginato. 

3.
Dove stai andando?

In senso più ampio e profondo non saprei bene cosa rispondere, in realtà credo di essermi perso.
Diciamo che in questo momento sto andando nel mio negozio di ramen preferito…
Una garanzia.

4.
Cosa ti lega al Giappone?

Negli ultimi sette anni a Tokyo mi è sembrato di vivere in un mondo sottosopra: in sospensione, dentro una bolla, circondato dal mare e lontano da tutti. 
Vivere a Tokyo è stato come guardare il mondo attraverso uno specchio che restituisce le immagini al contrario.
Quando penso alla mia vita passata in Giappone provo una certa malinconia, che forse è riconducibile a quella sensazione che i giapponesi chiamando Wabi-sabi (侘寂), cioè di nostalgia per qualcosa che è ormai passato, lontano e che non tornerà più. 
Un mondo perduto che esiste e resiste solo nei ricordi e in qualche oggetto ammaccato e impolverato dalla patina del tempo.

Il Giappone è un mondo al quale avrei voluto, molto ingenuamente, appartenere.

5.
Quanto conta la musica nel tuo lavoro? cosa stai ascoltando in questo periodo?

La musica, insieme al cibo (i dolci in particolare) è per me una fonte di immensa felicità.
Ne ascolto molta… Mi aiuta anche a far emergere certe immagini interiori che poi utilizzo quando dipingo.
In questo periodo sono sul sinfonico romantico: sto ascoltando molto la colonna sonora dell’ultimo film di Terrence Malick (Knight of cups), Shéhérazade, un’opera incompiuta di Ravel, un po’ di Le Sacre du printemps di Stravinsky, Utopia di Björk e, per rimanere in tema, Stolen from strangers di Jun Miyake.

6.
Un sogno nel cassetto.

Vivere in una casa giardino (hai presente i “Mur Végétal” di Patrick Blanc?), circondata da un bosco, con un giardino d’inverno tropicale dove allestire il mio studio e  sicuramente un angolo giapponese con tatami dove sorseggiare un tè sencha accompagnato da dolcetti mochi: un sogno, per l’appunto.

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