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Una Kyoto da bere

Una manciata di locali da non mancare per concludere con un buon bicchiere una chiassosa serata kyotese.

by Nanban

Lunghe giornate per templi e giardini zen. Ma sotto la patina più celebrata, la città custodisce un’altra anima, più informale e vivace, altrettanto intensa e sterminata, un magma di locali che è impossibile conoscere fino in fondo, anche a viverci: osterie dove si mescolano la convivialità del sake e la raffinatezza della cucina locale, ma anche wine bars italiani e francesi, in una città che ama anche gustarsi la vita.

Blanka (ブランカ) è una creatura strana e affascinante: a metà tra izakaya, trattoria asiatica e locale di tendenza. La cucina, tra spezie e sapori esotici, sorprende per la libertà creativa. Dall’iconico “caffè awamori” (un mix altamente alcolico che si beve come fosse un caffè freddo _ e per questo da ordinare con prudenza) ai sour casalinghi con frutta fresca come hebesu (un piccolo agrume giapponese) e arance rosse, tutto è pensato per incuriosire. Ma il momento clou è dopo le 21, quando il proprietario annuncia: “Chi vuole del riso?”, pronto a servire riso appena cotto con contorni da favola.

Blanka

In una tranquilla via vicino al tempio di Hōzō-ji, manoir 28 è più che un wine bar: è un rifugio silenzioso per chi cerca un momento di riflessione con un calice in mano. La selezione di circa 300 bottiglie – solo vino – è curata con sensibilità dal proprietario, un vero maestro dell’ospitalità, capace di leggere negli occhi dei clienti il vino perfetto. Gli otsumami, ovvero gli stuzzichini, arrivano da celebri cucine cittadine: dal maiale arrosto del ristorante cinese Taihō, ai saba sushi di Gion Nishimura. Qui ogni sorso è un incontro.

manoir 28

Definirlo semplicemente ristorante italiano sarebbe riduttivo. Il filo è un “kappō italiano”: una cucina aperta, dove il menu non esiste se non come lista di ingredienti, e ogni piatto nasce dagli ingredienti che ispirano lo chef e da quel che ne salta fuori. Pasta, carne e vino si trasformano in esperienze uniche, grazie anche alla presenza radiosa della sommelier, sempre pronta a consigliare la bottiglia giusta. Un luogo dove andare anche solo per un nostalgico piatto di cacio e pepe e un bicchiere, per sentirsi a casa.

C’è poi Kyoto come la vivono i suoi abitanti, fatta di piccoli riti quotidiani. Tatsumi, vicino a Kawaramachi, è uno di quei posti dove si va “perché ci si trova”. Con il suo iconico bancone a U e l’infinito elenco di piatti scritti a mano che invadono pareti e financo i frigoriferi; è l’essenza dell’izakaya democratico: birra in bottiglia, insalata di patate, stufato di manzo e, ogni tanto, una sorpresa di stagione. Al contrario, Ryūmon è per chi ama il fuoco della cucina dello Sichuan. Il suo mapo tofu – piccante, corposo – è ormai leggendario, come lo sono i piatti “yuxiang” alla maniera autentica del Sichuan, tra aglio, zenzero, aceto e peperoncino. Con poco si torna a casa felici e in fiamme.

Infine, due luoghi dove il vino è protagonista, ma senza snobismi. Shokudō Ruins, a metà fra una caffetteria e un ristorante francese, in una tradizionale machiya ristrutturata con gusto bohemien, propone piatti sorprendenti come prosciutto d’anatra, cervo alla griglia e verdure cotte con precisione artigianale. La lista dei vini è scritta a mano dal caloroso proprietario e la birra è sempre alla temperatura perfetta.
TONA, invece, è un bistrot francese travestito da bar di quartiere, dall’atmosfera molto accogliente. I piatti reinventano i classici transalpini con ingredienti locali (notevole lo tsubugai al burro), mentre gli interni – con lampade vintage e sedie Windsor – raccontano una Kyoto moderna e curiosa. Un posto dove si può entrare per un bicchiere… per poi restare fino alla chiusura!

Kyoto non finisce mai. Neppure di notte. Tra sakaba nascosti, creatività gastronomica e umanità sincera, la città offre un modo tutto suo di bere – e di vivere. Tra un calice di vino e una ciotola di riso fumante, si scopre così il lato più intimo del Giappone.

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